Gli spazi della follia

Un gruppo di studentesse e studenti dell’IIS Matteo Ricci, accompagnato dallo storico Matteo Petracci, ha svolto un trekking urbano nel parco dell’ex manicomio di Macerata, ripercorrendo gli “spazi della follia” e ascoltando storie lontane e “dimenticate”, come spesso erano dimenticate dalla società le persone costrette a vivere entro tali mura.

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Per un centinaio di anni, dalla sua fondazione nel 1871 fino alla legge Basaglia (1978), il nostro manicomio è stato sede di reclusione della "follia" e, in generale, della diversità. 

Mura invalicabili separavano gli internati dalla “società dei normali”.  Ideata come strumento di contenimento e controllo sociale, la struttura ospitava al proprio interno ogni tipo di “devianti”: malati psichiatrici, mendicanti, prostitute, alcolisti, oppositori politici. 

Le storie che Petracci racconta sono storie di sofferenza e malattia psichica. Storie di persone “curate” attraverso discutibili pratiche di clinoterapia (immobilizzazione forzata a letto), idroterapia (immersione del paziente in una vasca di acqua calda per ore), o addirittura lobotomia (recisione chirurgica di connessioni nervose della corteccia cerebrale), o terapie di shock come insulinoterapia e l'elettroshock.

Storie di donne con diagnosi di “isteria”, che pagavano con la reclusione forzata i loro tentativi di emancipazione. Colpevoli magari di atteggiamenti anticonformisti (un taglio di capelli troppo corto, delle relazioni sessuali troppo libere) e bollate dalla società come “pazze”.

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Storie di guerra, di soldati della provincia colpiti da disturbi mentali al fronte tra il 1915 e il 1918. O di reduci che non riuscivano ad inserirsi in società dopo la disumanizzante esperienza della guerra vissuta sulla propria pelle. Possiamo provare a ricostruire le loro biografie attraverso le lettere scritte e mai spedite ad amici e familiari…

Storie di opposizione politica, di pensieri messi a tacere da un certo tipo di regime politico perché considerati “pericolosi”. La diagnosi di molti liberi pensatori era “paranoia”, redatta in modo totalmente discrezionale da psichiatrici asserviti al potere. Petracci in uno dei suoi libri li chiama “i matti del duce”: coloro che venivano fatti passare per folli perché non volevano conformarsi all’ideologia fascista. 

Non di rado infatti l’internamento in manicomio è stato una modalità di repressione politica, alternativa al carcere e all’esilio. Basti pensare che sotto il fascismo il numero di reclusi psichiatrici quasi è raddoppiato rispetto ai decenni precedenti, i manicomi italiani sono passati ad ospitare da 55 mila (dati del 1920) a 95 mila persone (dati del 1941)!

Si tentava di “curare”, “normalizzare” i “devianti”, o quanto meno nasconderli alla vista dei comuni cittadini.

I ragazzi si interrogano insieme allo storico e agli insegnanti sulle ambigue parole “follia”, “devianza” e “normalità”, che rischiano di mettere tra parentesi l’unicità e l’irripetibilità di ogni essere umano. 

Ciò che è “normale” o no è stabilito dalla maggioranza e può variare nel tempo e nello spazio… E’ una variabile culturale, a cui tuttavia dobbiamo guardare con approccio critico.

Riflettendo su cosa viene considerato “normale” nel nostro contesto socio-economico. Problematizzando ciò che ci pare a prima vista ovvio, chiedendoci se personalmente siamo d’accordo o meno con le idee della maggioranza. E soprattutto facendo attenzione a quale trattamento la maggioranza riserva alla “diversità”, alle minoranze. E’ forse questo uno dei più importanti indicatori di democrazia.

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